Un’Isola, tanti dialetti: Vicari chiude il progetto “Mòviti ddrocu”

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Conclusa la "Settimana della Lingua siciliana" dell'I.C. San Francesco - Capuana di Gela

di Liliana Blanco

Si è concluso con la dissertazione del linguista e dialettologo Gaetano Vicari il progetto “Mmoviti ddrocu”, dedicato alla Lingua siciliana dell’IC San Francesco-Capuana di Gela, diretto da Maria Lina La China.

Il progetto è stato selezionato nel bando della Regione Siciliana “Non solo mizzica. Il siciliano la lingua di un popolo” e si è svolto dall’11 al 14 novembre scorso nei plessi Paolo Emiliani Giudici e Luigi Capuana dell’Istituto, Polo Artistico Formativo. In calendario laboratori didattici dedicati alla riscoperta del lessico, dei proverbi, della poesia e della musica popolare siciliana; spazi espositivi tematici con materiali, produzioni degli alunni e contributi artistico – culturali, giochi interattivi per imparare divertendosi, spazio interviste e racconti, con testimonianze, curiosità e memorie del territorio e ospiti e personalità del mondo culturale, con interventi su storia, lingua e tradizioni.

Ieri pomeriggio chiusura finale con Vicari che ha trattato il tema: “Il dialetto siciliano: da Cielo d’Alcamo a Camilleri”.

“Da molto tempo ci si chiede se il siciliano sia una lingua o un dialetto, ma questa distinzione, spesso caricata di giudizi sociali, non rende giustizia alla sua realtà”, ha detto. “Il siciliano non ha mai avuto un’istituzione che ne fissasse regole precise, né una grammatica condivisa: per questo non esiste un siciliano unico, ma una costellazione di varietà diverse, con tratti comuni e molte sfumature locali”, ha continuato. “Parlare di “lingua siciliana” significa dunque riferirsi più a un’idea culturale che a un sistema unitario e normato. Si tende spesso a confondere il siciliano con il parlato di Palermo o di Catania, o con ciò che la letteratura ha elevato a codice prestigioso. In realtà, l’isola è attraversata da linee linguistiche che distinguono persino paesi vicinissimi tra loro: c’è chi conserva la s davanti a consonante, chi arrotonda le vocali “alla meridionale”, chi trasforma la n in r, chi pronuncia la Z palatale come nella cosiddetta “spaccata” dei paesi di montagna. Questa varietà non è un difetto: è il risultato di una storia lunga, fatta di sovrapposizioni culturali e di comunità che hanno modellato la lingua secondo la propria voce”.

Vicari ha sottolineato come “gli scrittori siciliani hanno giocato un ruolo decisivo nel rendere riconoscibile il siciliano anche fuori dall’isola, ma ciascuno ha usato un dialetto proprio, senza preoccuparsi di unificare nulla. Martoglio scriveva un catanese teatrale e ritmato; Camilleri ha creato un siciliano letterario del tutto personale, una miscela di parlate agrigentine, termini arcaici e invenzioni stilistiche; Buttitta oscillava tra il vernacolo più immediato e un registro più epico; Fava, Rapisarda, Di Giovanni hanno percorso strade altrettanto autonome. La storia letteraria siciliana dimostra che non è mai esistito un modello unico da seguire: la forza del siciliano sta proprio nella libertà con cui è stato interpretato”.

“Per questo i tentativi moderni di stabilire una norma rigida risultano spesso artificiali. Molti gruppi hanno provato a definire una grammatica o una grafia unificata, a volte rifacendosi alla tradizione medievale della Scuola poetica siciliana o a immaginari sistemi latineggianti – ancora Vicari -. Ma la frammentazione naturale del siciliano non permette di scegliere un dialetto come modello senza escluderne automaticamente altri; e una norma costruita a tavolino rischia di tradire la spontaneità reale dei parlanti, imponendo soluzioni che nessuno usa davvero. Il siciliano non è un organismo chiuso: è vivo, quotidiano, plurale”.

In chiusura Vicari ha rimarcato come “forse, allora, la domanda “è lingua o dialetto?” è meno importante della consapevolezza di ciò che il siciliano rappresenta: un patrimonio culturale stratificato, un insieme di voci che hanno attraversato i secoli, un modo di vedere il mondo. La sua ricchezza non sta nell’uniformità, ma nella pluralità: nella capacità di cambiare da paese a paese, di reinventarsi con gli scrittori, di mantenere radici profondissime pur restando una lingua del popolo. Più che ridurlo a un’unica forma, dovremmo valorizzarne la complessità, perché è proprio lì che il siciliano trova la sua identità più autentica”.

Ecco qui il testo scientifico della conferenza: La conferenza

Nel progetto del comprensivo, tra le altre attività anche una “Visita guidata all’Opera dei Pupi” a cura della Compagnia Arte Pupi dei Fratelli Napoli di Catania e una performance di “Gelika Folk” diretto da Ottavio Duchetta.

Ad aprire, lo ricordiamo, la rassegna Mario Incudine, cantante, attore teatrale e polistrumentista italiano, esponente della musica popolare siciliana che porta in scena “Canzoni scordate”. L’artista ha raccontato la storia e l’anima della Sicilia, intrecciando le parole dei grandi autori dell’isola – da Ignazio Buttitta a Andrea Camilleri, da Leonardo Sciascia a Luigi Pirandello – con i canti d’amore e di denuncia sociale. Tra gli ospiti anche Salvatore Menza, Associato di Glottologia e Linguistica dell’Università degli Studi di Catania che terrà una conferenza su “Il Topolino in catanese: tra creatività e scienza”.

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